Lorenzo MadaroCritico d’arte e curatore
Brizia MinervaStorica dell’arte e curatrice
Ingiustamente trascurato, o non adeguatamente approfondito, in recenti mostre finalizzate – almeno nelle intenzioni – a tirare le somme delle ricerche artistiche in Salento nel XX secolo, oltre che dal contesto accademico del territorio, l’artista Vittorio Balsebre in quest’area ha rappresentato – sin dal suo arrivo a Lecce nel 1966 – una felice eccezione, anzitutto per il suo eclettico approccio di conoscenza e dialogo con l’arte e gli artisti. Non è stato difatti solo un artista visivo – nella sua lunga esperienza ha sperimentato con disinvoltura tutti i linguaggi –, ma anche, almeno fino agli anni Ottanta, un critico militante, presentatore di mostre e recensore di progetti espositivi in spazi pubblici e privati della provincia leccese. Balsebre è morto il 29 dicembre 2013; era nato nel 1916 e aveva vissuto la sua vita, prima del definitivo trasferimento a Lecce, girovagando tra la Lucania e Roma. Tre realtà nodali per la gestazione di molte sue ricerche. Da un lato, negli anni Cinquanta, il dibattito sul fronte dell’astrazione nella capitale, dove ha modo di conoscere da vicino le indagini del Gruppo Forma 1, in particolare quelle di Piero Dorazio e Achille Perilli, e di aggiornarsi sulle novità italiane e europee visitando assiduamente la Galleria Nazionale d’arte moderna. Con la curiosità che gli è stata propria, per indole, fino agli ultimi mesi della sua vita, fa domande, si informa, frequenta determinati luoghi nodali per l’arte romana di quegli anni, e il suo alfabeto visivo muta, si evolve, subisce evidenti influenze. Successivamente approda a Matera, all’epoca in pieno fermento grazie all’attività del circolo La Scaletta e all’arrivo di Lucio Del Pezzo e di altri artisti, la scoperta dell’annullamento della forma e l’utilizzo delle terre e dei materiali, da impiegare nelle sue composizioni materiche su cartoni pressati e tavole di risulta. Ha tutto inizio in quel periodo, a cavallo tra gli anni Cinquanta e il decennio successivo. È in quei contesti che tralascia del tutto la figurazione per confrontarsi con la sperimentazione informale. La sua vorace creatività l’ha spinto a interfacciarsi con la pittura, il disegno, il collage, il video, l’installazione e la fotografia.
Dagli esordi figurativi alla svolta informale materica alla pittura astratto - lirica per giungere all’impegnativo lavoro su scrittura e immagine, parola e visione, il suo è un universo composito. La sua mente fervida, il carattere ironico e disponibile al confronto, la sua estrema curiosità intellettuale, lo hanno spinto a occuparsi degli altri artisti con uno spirito critico e solidale. Balsebre è stato infatti l’unico artista salentino che ha interpretato con lucidità anche la critica d’arte rivelando acume e sintesi in un momento in cui in città da un lato fremevano le istanze d’avanguardia e dall’altro mancavano voci che potessero avviare un’adeguata sintesi teorico-operativa. In particolare negli anni Settanta e anche nel decennio successivo una volta in pensione dal suo impiego in prefettura, ha frequentato le aule dell’università e della locale Accademia di Belle Arti stringendo sodalizi e instaurando duraturi rapporti di stima con intellettuali e studiosi. Tra questi Pio Rasulo, docente di Estetica, Antonio Del Guercio e Luciano Caramel. Ma non solo, anche negli ultimi anni della sua vita ha continuato a studiare e a disegnare come rivela quella che è stata la sua biblioteca personale in cui emergevano a chiare lettere i suoi plurali interessi dalla storia alla storia delle immagini, dalla pedagogia dell’arte alla sua storicizzazione. Nel capoluogo salentino ci arriva nel 1966 ed entra subito in relazione con intellettuali e artisti. È il primo addetto ai lavori a comprendere la forza eretica di Leandro e l’artista di San Cesario ricambia, gli regala una scultura in terracotta (oggi in collezione privata).
Conosce Francesco Saverio Dòdaro diventando membro del gruppo di arte genetica insieme ad Antonio Massari ed altri artisti. Collabora con il Gruppo Ghen fondato da Dòdaro, inserendo nell’omonima rivista elaborati con grafismi, scrittura automatica, bande elettroniche, diagrammi cardiografici che fanno parte della produzione dei Diari intimi, delle scritture multiple e genetiche.
Dialoga con tutti, è presente alle mostre, interviene ai dibattiti, fa sentire la sua voce. Negli anni Settanta sperimenta tecniche e materiali, realizza opere adottando gli effetti dell’inchiostro delle stampanti e dialoga attivamente con la poesia visiva.
È in contatto con diversi artisti italiani che operano su questo fronte da Eugenio Miccini a Lamberto Pignotti, recupera dai rotocalchi immagini e sollecitazioni, li taglia a brandelli, associa porzioni di quotidiano e cronaca a frasi e parole legate all’arte e al pensiero. Di questi anni sono le Dattilopoesie, i Testi manipolati e i Libri d’artista o Libri demistificati.
Realizza così collage in cui recupera la dimensione poetica dell’arte, in più opera presentando i suoi lavori in mostre anche nazionali e aderisce ad un movimento libero e internazionale per antonomasia, quello della Mail – Art, piccole opere da realizzare velocemente e poi diffondere attraverso la posta in diversi luoghi del mondo, operazione concettuale e allo stesso tempo poetica.
Negli anni Ottanta scopre anche il gusto del segno, su pellicole fotografiche incide tracce di memoria e poi le stampa su carta fotografica e poi le colora emerge così un paesaggio astratto composito, un groviglio di gesto e segno che Balsebre battezza Fotograffiti.
Nei Novanta ritorna all’astrazione pura, rielaborando sollecitazioni provenienti dalla storia dell’arte e dalle sue esperienze personali, guarda a Kandinsky e a Giulio Turcato. Da Giacomo Balla – ha molto amato il futurismo – al segno, di questi anni sono le Xerodinamiche che consistono nella riproduzione al fotocopiatore di immagini in movimento.
Negli ultimi anni ha prodotto migliaia di opere, nella sua casa studio non lontano dalla villa comunale il disegno era una pratica di meditazione e relazione col mondo, con pennarelli a spirito tracciava grovigli astratti su cui poi associava brandelli di carte e collage.
Insieme a pochi altri Balsebre ha rappresentato pertanto una ventata d’aria fresca in una Lecce che all’epoca per molti versi era ancora ingabbiata entro stilemi tardo ottocenteschi di radice napoletana. Insieme a Natalino Tondo, Corrado Lorenzo, Cosimo Damiano Tondo, Pietro Liaci, è stato il fautore di un rinnovato nomadismo linguistico e operativo, ma questa eredità probabilmente è stata rimossa. In recenti ricognizioni, mostre ma anche pubblicazioni il suo nome è stato ignorato o non considerato con la giusta pregnanza, senza tenere conto del suo ricco bagaglio di esperienze e contenuti in linea con il dibattito d’avanguardia in Italia e non solo.