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La mostra costituisce il capitolo conclusivo del progetto CREATURE DI SABBIA. E' stata accolta dai suggestivi spazi dell'ex Conservatorio Sant'Anna, a Lecce  dal 19  gennaio al 9 febbraio 2024, accompagnando i visitatori attraverso un’esperienza fortemente immersiva e di impatto emotivo, con installazioni video e sonore, ed una pluralità di richiami attraverso il gioco in campo di più media e storie personali.

Il progetto è  entrato nel cuore delle sue attività lo scorso maggio con una inedita e intensa residenza d’artista sull’ uguaglianza di genere e i diritti violati delle donne dodici anni dopo la primavera araba e finalizzata a portare a compimento un processo di sensibilizzazione e formazione sia artistica sia sociale sui diritti umani attraverso l’arte, rappresentata da quattro artiste di origine araba e mediorientale che risiedono in Italia per motivi di studio o di lavoro e altre coetanee di simile provenienza, cultura e religione, residenti a Lecce   e attive nel campo della mediazione interculturale.
Il gruppo è stato protagonista di intense attività di approfondimento e creazione e momenti aperti a tutta la comunità, affrontando ambiti con cui la narrativa, la pittura, il design, la fotografia, il cinema, le arti visive interpretano i temi della sopraffazione e della violenza sulle donne. Non sono mancati stimoli interculturali di natura sociologica, antropologica, sociale. A coronare quella esperienza, le quattro giovani artiste, due iraniane, una tunisina, una marocchina – sono ora protagoniste di una Mostra unica nel suo genere che porta al pubblico personali esperienze e universi artistici inediti.
Secondo i curatori della mostra, Andrea Laudisa ed Alice Caracciolo, “La creatura di sabbia del romanzo di Ben Jelloun, da cui questo progetto prende ispirazione, è una creatura mutevole, plasmabile, capace di ridefinire sé stessa e resistere alle pressioni esterne con coriacea forza. È stato facile quindi osservare una forte convergenza simbolica tra il personaggio del romanzo e le quattro artiste in mostra: la tunisina Rafika Ferchichi, la marocchina Salma Hilmi, e le iraniane Khathereh Safajoo e Mehrnoosh Roshanaei.
Il percorso di circa sei mesi, affiancato da esperti di rilievo internazionale e dai curatori del progetto, ha portato alla formalizzazione o al perfezionamento di quattro opere sulle quali le artiste stavano già lavorando. Attraverso una pluralità di linguaggi espressivi, le artiste si sono confrontate con la riscoperta delle proprie radici e hanno affrontato il limite percettivo delle diversità culturali parlando un linguaggio universale”. 
 
Rafika Ferchichi, figlia e nipote di tappezzieri, utilizza la iuta e l’asfalto per realizzare tappeti nei quali inserisce vari materiali simbolici, in linea con la sua ricerca. Opere scultoree come simboli di connessione tra passato e presente, che rappresentano un’immersione nella conoscenza, nella storia e nella cultura personale dell’artista. Il tappeto rappresenta il suo spazio intimo e Rafika invita lo spettatore ad attraversarlo, compiendo così un gesto di liberazione, di superamento delle barriere dell’individualità per partecipare a una connessione più ampia, dove la memoria collettiva diventa un punto di incontro e di condivisione.

La video installazione di Mehrnoosh Roshanaei è un omaggio alle vittime della rivolta rivoluzionaria Zan Zendegi Azadi (Donna Vita Libertà) in Iran. Attraverso la rappresentazione di un’eclissi lunare, l’animazione 3D simboleggia lo sconvolgimento e la distruzione causati dalla rivolta. La componente sonora del lavoro, la voce fuori campo di una madre che canta una nenia al figlio defunto e il successivo sparo, porta alla luce la perdita e la sofferenza umana in modo tangibile. L’artista sembra sfidare il pubblico a riflettere sulla necessità di cambiamenti, interrogandosi sulla propria posizione e responsabilità di fronte alle ingiustizie e alle sofferenze che affliggono la società.

L’opera dell’artista iraniana Khatereh Safajoo è la sintesi di un ricordo di infanzia, quando frequentava un luna park di Teheran situato nei pressi di un carcere. Testimonianze di alcuni detenuti prima di essere giustiziati menzionano il suono delle voci dei bambini che frequentavano quel luna park e la luce delle insegne delle giostre che illuminava le celle buie. L’opera si traduce in una istallazione di luci e suoni,  un’opera immersiva che diventa richiamo alla coscienza collettiva e che affronta il tema dell’innocenza tradita e della necessità di proteggere il futuro delle generazioni più giovani.

L’opera di Salma Hilmi nasce da un’app per smartphone pensata come strumento per la prevenzione della violenza sulle donne. Le testimonianze di donne, visive e sonore, raccolte da Hilmi, sono state tradotte in un’installazione multimediale di testi e suoni che chiude il percorso della collettiva e coinvolge il pubblico in un’esperienza emotiva e riflessiva. Su una delle pareti della stanza, inoltre, campeggia uno specchio, simbolo di introspezione e auto-riflessione attraverso il quale l’artista crea un momento di connessione intima, spingendo ognuno a confrontarsi con la propria percezione e comprensione della violenza di genere. “Dio creò gli esseri umani a partire da una sola persona o anima” recita un verso del Corano che si trova in una posizione centrale dell’installazione, un potente appello all’unità contro la violenza di genere, che sottolinea che ogni individuo, indipendentemente dal genere, è una parte essenziale della stessa anima universale


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