immagini
|
|
|
|
pubblicazioni
|
|
L’AUTORITRATTO INFINITO DI ANNALISA MACAGNINO. 1/12/2011 Alessandra Guareschi,in Autoritratti. Artisti del Terzo Millennio, catalogo della mostra, a cura di M. Guastella, Congedo Editore, Galatina 2011.
Ricordi di sogni distorti si sciolgono negli occhi di Annalisa Macagnino, che sorprende se stessa fino a perdere la testa. Destabilizza ogni luogo comune con tocchi di grazia, a partire da sé e viaggiando verso l'alterità. Una femminilità senza confini si divincola in lei e attraverso di lei, quando costretta dagli eventi e dai ruoli, tanto da rendere manifeste le cicatrici interiori pur di liberarsene, sebbene provvisoriamente.
La delicatezza e la forza bruta si rincorrono, mentre l'incubo patinato della donna oggetto si moltiplica fino a dissolversi nella purezza dell'infanzia.
Dall'acquerello alla sperimentazione digitale tra audio e grafica (come la performance Wave of mutilation), dal ricamo a mano alla pittura d'azione, dalla terracotta al frammento organico, come ciocche di capelli: la sperimentazione non ha fine e resta sempre estremamente vicina all'io, alla sfera interiore; se ne nutre ogni volta.
Dalle linee impalpabili, tracce di punte di grafite, Annalisa Macagnino fa prendere corpo a fili luccicanti, cordoncini preziosi, ricami d'altri tempi. Dalla carta, dalla stoffa trovata per caso, i segni del vivere migrano sulla pelle e viceversa, originando inedite immagini private, talmente intime da divenire sacre. Le parole fanno da cornice, strisce di filo anch'esse, fanno da cruda cornice d'impulso, saltellando da una lingua ad un'altra, come fossero senza pensieri.
L'autoritratto è infinito, il mutamento senza soluzione di continuità. Eppure la bellezza non è lontana: fiorisce nei colori, nelle finezze perfette, nella cura di ogni piega.
Una testa di donna che gronda, dagli occhi vispi di coda di topo cucita per bene, come se Oloferne decollasse Giuditta un attimo prima che questa compia su di lui l'efferata violenza. Dall'altra parte, opposto e speculare, un busto in maglia a righe senza capo, che pare esultare e richiamare all'attenzione. Due parti della stessa anima, lasciate libere di separarsi, messe alla prova dalla sofferenza, fortificate dall'essere un'unica splendida donna.
SENSO PLURIMO-ANNALISA MACAGNINO: THE HONEY ROOM 10/12/2010 Marinilde Giannandrea, Senso Plurimo, Rassegna di arti visive 2010-2011 a cura di Marinilde Giannandrea, catalogo della mostra (Lecce, Cantieri Teatrali Koreja, 19 novembre – 4 dicembre 2010), Locorotondo Editore, 2011.
«Non si nasce donne: si diventa» (Simone de Beauvoir, Secondo Sesso, 1949).
Il divenire è dunque il nodo centrale della questione femminile e se la trascendenza appare una proprietà tipicamente maschile allora l’essere donna si sostanzia essenzialmente su un principio d’immanenza e corporeità. Dagli anni Sessanta in poi, questo principio coincide nell’arte di genere con una progressiva messa in azione del corpo femminile, una questione che ha che fare con la volontà di demolizione delle strutture inflessibili del feticismo del potere maschile. Oggi il problema non cambia ma entra nella complessità dei meccanismi di approccio all’individualità e all’identità, dentro un sistema dove il genere è ormai condizionato da altre forme di pressione e di violenza culturale. Il cuore del lavoro di Annalisa Macagnino s’insinua nei contraccolpi drammatici di questa complessità e si concentra sulla questione corpo-sessualità con un piacere sadico che si dissolve rapidamente nella fragilità del segno e del colore. Un disegno – immediato come un pensiero – che affonda in una ritualistica del corpo tenacemente indirizzato alla sua decostruzione, attraversato, a volte, da un velato umorismo; una pelle sottile che è anche topografia emotiva e che riveste un mondo di ricordi, ansie, ossessioni erotiche e solitudini. Le manca il gusto della provocazione fine a se stessa, l’ostentazione del gesto minaccioso e con discrezione e timidezza offre allo sguardo dello spettatore teste e arti mozzati, organi sessuali che sembrano, come spesso avviene nell’arte, rispondere a una mancanza, a un senso d’incompletezza, alla necessità di risarcire una smagliatura iniziale. Alla narrazione preferisce la frammentazione con un melting pop di visioni e citazioni musicali in cui la parola scritta opera una distanza tra il corpo autobiografico e il corpo dello spettatore. Annalisa si muove consapevolmente sul crinale del femminismo e dell’arte al femminile (Carol Rama, Letizia Cariello, Tracy Emin, Jenny Holzer) e lo fa con il filo sottile del disegno e del ricamo interconnettendo immagini e parole, alfabeto di segni e di segnali che acquistano significato nell’interazione con l’altro e spostano la pratica dolente dell’io verso una dimensione più collettiva. In questo senso denuncia gli atti contro il corpo delle donne e mette in scena un repertorio in cui ogni frammento, privo di coordinate, appare vagare in uno spazio assolutamente vuoto. The Honey Room, è stata pensata per il box e rievoca un microcosmo autobiografico nel quale il sesso, nella sua ossessiva iterazione, rimescola la sfera del pubblico con quella del privato e diventa pratica eversiva e spazio di una sostanziale e viscerale riflessione sulla fragilità della vita e della corporeità.
IL MONDO MAGICO DI ANNALISA MACAGNINO 05/05/2010 di Antonello Tolve, http://www.costozero.it/2010_giugno/misurecritiche.asp.
Scenari vivaci e leggeri, cromatismi squillanti, ghirigori ai margini di fogli sparsi o di quaderni, animaletti e corpi bizzarri, squisiti prefissi erotici e ironici che risimbolizzano la galassia femminile mediante escamotages iconografici spigolosi e pungenti, segni e segnali strappati alla realtà e riproposti tramite una cifra estetica che dimentica a memoria luoghi e occasioni per confluire in un territorio di carta dove tutto può accadere. Il mondo magico proposto da Annalisa Macagnino (nata a Tricase, in provincia di Lecce, nel 1981) reinveste la realtà quotidiana di carico immaginifico per evidenziare un atteggiamento teso ad oscurare i sentieri della ragione e ad elogiare i paesi della fantasia, di un sogno che si fa segno verbale per cortocircuitare la normalità a favore di un paesaggio interiore (apparentemente) delicato,fortemente acuto e provocante.
Dai vari - e davvero straordinari -Senza titolo (2008-2009) a Jesus Save Me (2009), da Hot Dog (2009) che rappresenta un busto femminile con sette asticelle nere identificabili con pseudowürstel a Fuck Me!! in cui è possibile leggere, a caratteri cubitali, «The Interest Rate Increased By 6,7% Fuck Me!!», appunto, Macagnino interpreta il mondo della vita per formulare, di volta in volta, un abbecedario visivo che prende per la coda la realtà e ne trascina il corpo nell'impero dell'immaginazione.
«Il disegno - suggerisce l'artista a chi scrive - è libera espressione di uno stato d’animo, traduzione immediata del pensiero, è come scrittura automatica».
Ed è proprio attraverso il disegno - un disegno minimo ed efficace, embrionale a volte - che Annalisa Macagnino propone un infinito dialogo (infinito intrattenimento direbbe Maurice Blanchot) con forme e figure del pensiero; un pensiero per immagini - Bildhafte Denken - che fruga foglia a foglia le cose quotidiane reinterpretandole, reinventandole, reificandole, mediante un segno subconscio che seduce e stordisce lo spettatore con ingredienti e addentellati visivi vicini alla cultura estremorientale.
Corpi frammentati, smontati e burattinizzati (che fanno pensare ai manichini snodabili utilizzati per le vetrine pubblicitarie), parti anatomiche - labbra, denti, lingue, linguacce ecc.- riprodotte più volte fino a creare una costellazione di forme che vagano sul foglio alla ricerca di un nome e d'una identità. E poi, ancora, piccoli corpi femminili appena tratteggiati e punzecchiati, pose di varia natura, segnali stradali riformulati secondo un gusto personale e scritte che puntellano il mondo con una dolce ferocia. Di pagina in pagina, di foglio in foglio, Annalisa Macagnino presenta un universo formale elegante ed avvincente che, se da una parte ricorda alcune questioni stilistiche legate a figure quali Carol Rama, Louise Bourgeois e, per alcuni aspetti, Maria Lai, dall'altra scansa le formule preconfezionate per spaziare nei territori del fumetto e dell'illustrazione. Ma con una cintura di sicurezza estetica che oltrepassa l'illustrazione (come genere) tout court per addentrarsi, piuttosto, in un paesaggio formale che transita (e non sosta) lungo binari visuali diversi e diversificati per sfuggire alle morse terroristiche della ragione - alla religione della ragione (Dorfles) - e offrire, via via, un terreno di contatto tra mythos e logos, razionale e irrazionale, reale e quello che reale non è.
|
|